DETTAGLI IN BIANCO E NERO

 

 

Un pomeriggio di fine estate, un momento di passaggio tra il nuovo che avanza e l’ormai vecchio che inevitabilmente scorre.

   Reggio Emilia, una città di medio piccole dimensioni, ancora – per poco? – a misura d’uomo, dove l’occhio riesce ancora a soffermarsi, ora come un tempo ormai lontano, per catturare visioni, prima che il sogno si cancelli.

   Dettagli in bianco e nero, quasi a voler fissare in eterno ciò che è e presto non sarà più.

   Una realtà senza colore, o meglio, misuratamente dosata in un ardito gioco di luce e ombra, giocando in anticipo sul tempo, per evitare che, di lì a poco, la greve nebbia padana si impossessi degli oggetti, ghermendoli nel suo abbraccio e trasformandoli in sagome sfumate e solo abbozzate.

   Ecco allora l’audacia della macchina fotografica, estensione dell’occhio e della mente umana, fedele compagna che aiuta nel difficile compito.

   Fissare la realtà, il ricordo, l’illuminazione di una felice intuizione proprio in quel preciso istante, nell’istante stesso in cui si vorrebbe consacrare l’oggetto alla memoria, rubandone, “come sempre”, l’anima.

   Due ruote di bicicletta, sospese nell’aria, quasi a voler significare una sospensione nel tempo, un’astrazione del soggetto dal suo abituale e quotidiano contesto; una panchina finalmente vuota, trono elegante e solitario che si specchia nella sua narcisistica ombra; una basilica, immagine quasi sfuggente, elevata al cielo – com’è proprio nella sua natura – e, in evidente contrasto, in un altro scatto cullata in una rotondità che evoca il rassicurante abbraccio materno.

   Il fotografo Guido Marchiani si è fermato un attimo “per noi”, per regalarci attimi di riflessione su un quotidiano che troppo spesso banalizziamo o ignoriamo, distratti da tanto e da troppo. Ora sta “a noi” decidere se far scorrere le immagini consumandole nel breve volgere di un superficiale attimo o se trattenerle come momento di produttiva riflessione su ciò che è stato, ciò che è e, forse, sarà.

 

                                

 

                                                                                       Lorenza Pellegrini, 11/2006 

 

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